Entriamo in una Tin. C’è un bambino in arrivo. «Quando ha bisogno di terapia intensiva, il bimbo viene portato in reparto per lo più assistito in una termoculla, un’incubatrice. Uno dei problemi principali dei neonati, soprattutto i prematuri è che necessitano di una temperatura costante perché tendono a disperdere calore molto facilmente.
Un altro problema è l’insufficienza respiratoria. Questi bambini spesso hanno necessità di assistenza respiratoria e sono collegati a un ventilatore meccanico. Oggi tuttavia sono molto più frequenti le metodiche di ventilazione non invasiva, quindi senza intubazione endotracheale ma semplicemente con delle cannulette nasali che favoriscono la respirazione», spiega Orfeo. E mamma e papà come entrano in gioco? «Secondo le indicazioni della nostra società scientifica, ma anche gli standard europei, dovrebbero essere presenti senza limitazione di orario. Perché nel nostro caso i genitori non sono considerati dei visitatori ma parte integrante del percorso terapeutico».
In molti centri, le porte restano chiuse
La «presenza attiva del genitore accanto al bambino» è prevista nella Carta dei Diritti del bambino nato prematuro , riconosciuta dal Senato Italiano nel dicembre del 2010 (si veda la scheda). L’apertura delle terapie intensive 24 ore su 24, reclamata a gran voce dai genitori, si scontra però con una realtà diversa: è garantita, lo dice la Sin, in quasi il 90% delle strutture al Nord, percentuale che scende al 56% nel Centro Italia e al 34% dei centri del Sud. I motivi di tanta disparità? «Culturali, secondo me. Bisogna allargare i propri orizzonti. La presenza del genitore può creare nuove realtà più che problemi.
Il genitore può anzi deve essere coinvolto nell’assistenza al bambino», dice Orfeo. Giusto. C he cosa possono fare nello spazio ovattato e ristretto di una terapia intensiva? «In alcuni casi alcune operazioni di banale accudimento anche nel bambino molto piccolo, cioè di 800-900 grammi: cambiare il pannolino, alimentarlo, pulirlo, massaggiarlo. Però l’orientamento è di coinvolgere sempre di più i genitori. E con il genitore sempre più presente cambia anche il modo di comunicare con gli operatori. La comunicazione è più aperta, continua».
Il ritorno a casa
Il ricovero di un bimbo in terapia intensiva non sempre è una storia a lieto fine. Lo abbiamo detto. E in questi casi (ma non solo), le associazioni dei genitori diventano un’ancora di salvezza. Per la maggioranza dei bimbi e dei genitori, invece, arriva il giorno del «domani potete andare a casa». Per molte mamme «è un po’ come recidere un cordone ombelicale», come scrive Elide Esposito co-autrice con il marito Peter Durante del libro 420 grammi. Storia di una nascita difficile»(Feltrinelli, 288 pg, 11 euro), un diario a due voci che racconta «in presa diretta» l’esperienza di avere un figlio nato prematuro. «Ma noi non le abbandoniamo», assicura Orfeo. «Continuiamo a seguirli. Su tutto il territorio nazionale sono operativi gli ambulatori di follow-up del neonato pretermine. In genere la maggior parte di questi programmi di assistenza si interrompono però intorno ai tre anni, mentre andrebbero invece prolungati almeno fino all’età scolare» .
L’assistenza dopo il ricovero
«Avremmo bisogno di poter prolungare l’assistenza almeno fino… 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘪𝘯𝘶𝘢 𝘴𝘶 𝘊𝘰𝘳𝘳𝘪𝘦𝘳𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘴𝘦𝘳𝘢